Mastracci Proja

Cessione del quinto e pignoramento: possono coesistere?

In base alla legge, sì, questo è possibile, nonostante erroneamente si tenda a pensare il contrario. Proviamo dunque a fare chiarezza, partendo anzitutto dall’inquadrare correttamente i due istituti. La cessione del quinto è un’operazione di finanziamento disciplinata dal Titolo II del D.P.R. n. 18/1950, cui possono accedere i dipendenti pubblici e privati, nonché i pensionati. Tramite il contratto in questione, della durata massima di 10 anni, il privato ottiene un prestito dall’istituto di credito, a fronte di una cessione, appunto, di un quinto della pensione o della retribuzione (pari quindi al 20%), che, nel secondo caso, il datore di lavoro si impegna a trattenere in busta paga ed a corrispondere mensilmente all’ente cessionario ed erogatore del finanziamento. Diversamente, il cosiddetto “pignoramento dello stipendio” è una forma di espropriazione forzata che ha per oggetto un credito (la retribuzione) che il debitore vanta nei confronti di un terzo (il datore di lavoro). Infatti, ai sensi degli artt. 543 c.p.c. e ss., il creditore procedente, sulla base di un titolo esecutivo (sentenza, decreto ingiuntivo ecc..), ha la facoltà di intimare al datore di lavoro di versare ogni mese in suo favore una quota dello stipendio o qualsivoglia ulteriore indennità derivante dal rapporto di lavoro, e fino alla concorrenza della totalità dell’importo dovutogli dal debitore, nel limite di un quinto stabilito dall’art. 545 c.p.c. per tutti i crediti diversi da quelli alimentari. Quest’ultima disposizione, in presenza di due o più pignoramenti per crediti di diversa natura, al comma 5 fissa il suddetto limite al 50%, mentre nel caso in cui i pignoramenti abbiano la medesima causa (es. inadempimento nei confronti di due banche diverse), si verifica il cosiddetto “accodo” del secondo pignoramento: il secondo creditore procedente dovrà infatti attendere che il primo si sia integralmente soddisfatto prima di iniziare ad incassare le trattenute. Ebbene, tornando alla domanda di partenza, da quanto sopra esposto emerge che le due fattispecie siano effettivamente sovrapponibili, ma nel rispetto di taluni limiti stabiliti dalla legge. Nel caso di stipendio già gravato da cessione del quinto, il calcolo della somma pignorabile viene effettuato senza tener conto della quota ceduta, e sempre nei limiti stabiliti dall’art. 545 c.p.c. Poniamo l’esempio di un dipendente con retribuzione mensile netta di € 1.000, che abbia stipulato una cessione del quinto con trattenuta in busta paga pari ad € 200,00 (appunto il 20% della retribuzione), ed al cui datore di lavoro venga notificato un pignoramento da parte di una banca. In tal caso il Giudice assegnerà alla banca € 200,00, costituenti un quinto della retribuzione, calcolato sostanzialmente come se la cessione del quinto non fosse stata stipulata. La somma delle predette trattenute (€ 400,00) risulterà altresì conforme al limite fissato dall’art. 545 c.p.c. comma 5, essendo inferiore alla metà dello stipendio complessivo (€ 1000,00 / 2= € 500,00). E nell’ipotesi in cui vengano avviati più pignoramenti successivi alla stipula della cessione? In tal senso è l’art. 68 del D.P.R. 180/1950 a rispondere, statuendo che la quota massima pignorabile è pari alla differenza fra la metà dello stipendio valutato al netto di ritenute e la quota ceduta. Nell’esempio proposto sopra, la quota massima pignorabile sarà pertanto uguale ad € 300,00 (€ 1000,00 / 2 – € 200,00= € 300,00).