Il 24 marzo del 2001 veniva approvata la c.d. Legge Pinto, con l’obiettivo di velocizzare la giustizia italiana, che ancora oggi continua ad essere tra le più lente in Europa. La legge in questione ha previsto il diritto all’equa riparazione, vale a dire la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti a causa dell’irragionevole durata del processo, in violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 111 della Costituzione Italiana.
La legge Pinto si applica ai processi civili, penali ed amministrativi, nonché a quelli in materia di crisi d’impresa e tributaria, e prevede, quale presupposto specifico per il diritto all’equa riparazione, l’aver subito un danno, patrimoniale e non patrimoniale, con l’onere per il ricorrente di provare il nesso di causalità fra questo e l’eccessiva durata del procedimento, la quale deve quindi aver effettivamente pregiudicato il cittadino.
Il processo, ai sensi dell’art. 2-bis della Legge Pinto, si considera irragionevole se supera la durata di:
– 3 anni per i procedimenti di I grado
– 2 anni per i procedimenti di II grado
– 1 anno per i giudizi innanzi alla Corte di Cassazione
– 3 anni per i procedimenti esecutivi
– 6 anni per le procedure concorsuali
Occorre tuttavia tener presente l’ulteriore condizione dettata dalle Legge: ed invero, affinché il cittadino possa promuovere il procedimento per l’equa riparazione ed ottenere il relativo indennizzo, è necessario che l’intera vicenda processuale si sia conclusa in un termine superiore ai 6 anni.
Il danno che il giudice può liquidare a titolo di equa riparazione corrisponde ad una somma compresa fra € 400,00 ed € 800,00 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a 6 mesi, che eccede il termine di durata ragionevole del processo, con possibilità di incremento fino al 20% per gli anni successivi al terzo e fino al 40% per gli anni successivi al settimo
La domanda di equa riparazione si propone con ricorso rivolto al presidente della Corte d’Appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il processo di I grado, da depositare unitamente alla documentazione relativa al procedimento presupposto (a titolo esemplificativo: atto di citazione, ricorso, verbali di causa, provvedimenti del giudice ecc..), facendo particolare attenzione ai termini di proponibilità: ed invero, ai sensi dell’art. 4 della Legge Pinto, la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva.
Il giudice designato emana, inaudita altera parte (ossia in assenza di contraddittorio) ed entro 30 giorni dal deposito del ricorso, decreto motivato con il quale, in caso di accoglimento, ingiunge all’amministrazione resistente di pagare senza dilazione la somma liquidata a titolo di equa riparazione, autorizzando in difetto la provvisoria esecuzione, salva la possibilità per la controparte di proporre opposizione avverso il provvedimento entro 30 giorni dalla comunicazione o notificazione dello stesso.
Al fine di vedersi corrispondere la somma dovutagli, il ricorrente deve rilasciare apposita dichiarazione all’amministrazione debitrice attestante il credito e per la richiesta di pagamento, che deve avvenire entro i 6 mesi successivi, tramite accredito sul conto corrente del creditore.
Dott. Alessandro Fusco